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Indonesia

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L’Indonesia conta di 200 milioni di abitanti ed è la nazione di religione mussulmana più popolosa al mondo. Il suo territorio è rappresentato da isole più o meno estese, la sua estensione è notevole, parte a ovest dallo stretto di Malacca per terminare a est in Papuasia, giusto dirimpetto all’Australia del nord. Più o meno 7 ore di volo.

Anche qui si guida a sinistra.

Sbarcati all’aeroporto di Jakarta ci vengono a prendere, fra mille feste, il nostro cliente accompagnato dalla sua interprete con marito al seguito, ed un’altra persona che lavora da lui.
L’interprete è minuta, simpatica, chiacchierona, ben vestita, il suo velo conferma che è di religione mussulmana ed il suo abito ben abbottonato fino al collo invita Claudia a coprire, per onore alla ospitalità e per non offendere la loro cultura, il suo esuberante decolté indossando un pullover che, se da un lato la rende più sintonizzata all’ambiente, dall’altro le fa sentir ancora più opprimente l’afa tropicale che ci si appiccica addosso.

Poi tutti assieme si va a cena e qui le prime sorprese per me. Il ristorane è spartano, appena ci sediamo il cameriere, spartano anche lui sia nell’abbigliamento, che nei modi, mette in centro al tavolo tanti piattini di cibo; pollo, carne secca, carne in umido, patate, peperoni, e via così, tutto speziato e molti piatti piccanti, anzi, veramente piccati. Di fronte ad ogni commensale mette poi un piatto con una bella montagnola di riso bianco a forma di scodella rovesciata con a fianco una pitocca riempita d’acqua.
Io sulle prime penso che l’acqua serva per lavarsi le dita dopo aver mangiato i cibi,…, non è esattamente così.
Il nostro ospitante ci passa una forchetta ed un coltello e ci inviata ad aprire le danze. Detto, fatto, prendo un po’ di qua ed un po’ di là, cosi fanno tutti gli altri con una leggera differenza rispetto a me, ossia. Prima intingono nell’acqua della loro pitocca le estremità delle dita della mano destra, poi con un cucchiaio prendono il cibo dai piatti in centro tavola, lo depositano nel loro piatto sopra ad un po’ di riso e con le dita ne fanno una specie di impasto, dopo di che, sempre con le dita, lo portano alla bocca e mangiano.

Fantastico! Questo è il modo di mangiare che ogni bambino sogna di poter fare, anziché usare quelle antipatiche e difficili posate. Tieni le braccia aderenti al corpo, posizione eretta, attenzione ad impugnare il coltello nel modo giusto, gira la forchetta,.., qui, invece, è tutto naturale: prima ci si lavano le dite, poi si mangia con le mani ed infine ci si lava le mani sempre nella stessa pitocca usando un po’ del te del tuo bicchiere come sgrassante,.., il massimo della praticità e della semplicità.
Scandalizzato per l’uso del te per lavarsi le mani?
Non esserlo, provalo, è fantastico. Con il te puoi lavar di tutto; le tavole, le posate, se le usi, le mani, per l’appunto. Questa usanza è diffusa in tutto l’Asia, dalla Cina, all’Indonesia, al Vietnam. Quasi, quasi, lo industrializzo e ci faccio una fabbrica di detergenti ecologici. Dal te il tuo pulito ecologico!...., magari funziona.

Torniamo al magiare usando le mani. Non dobbiamo dimenticare che l’uso delle posate è un avvenimento recente nato nel tardo rinascimento e perfezionato in Francia alla corte del re sole e divenuto poi di uso comune presso il grande pubblico nel corso del secolo scorso. Fino ad allora si usa bere il brodo usando dei cucchiaioni di legno ed il resto si mangiava usando le mani.

Una diciamo prova del nove di ciò lo abbiamo dal rappresentare a gesti il portar eil cibo alla bocca. Per farlo uniamo le dita della mano attorno al pollice teso e le portiamo alla bocca, un gesto che viene dal nostro passato e che mima l’atto di mangiare usando le mani.
La cultura di usare come posate le mani e di mangiare il cibo mescolato al riso qui in Indonesia ha modificato anche le procedure ferree ed uguali a se stesse in molte parti del mondo imposte dal fast food made in USA. Nei ristoranti della catena Mc Donald’s in Indonesia trovi i consueti polli fritti accompagnati da riso. Nei locali poi trovi lavandini funzionali a lavare le mani dei commensali prima del consumare il cibo. Un esempio di come si possono assorbire le nuove forme di coltura adattandole alla tradizione.

A fine pranzo procediamo in auto per Jakarta (la capitale conta 15 milioni di abitanti), è notte ma intravedo acqua da per tutto, molti dei suoi quartieri ne sono invasi ma, questa è un’altra storia per la quale mirata scrivere un inciso (vedi 07.02.07 una brutta avventura appunti di viaggio).
Una curiosità, durante l’incontro commerciale l’imman dall’altro del suo minareto chiamava i mussulmani alla preghiera pomeridiana. Anzi, lui parlava dal basso e dall’altro del minareto gli altoparlanti chiamavano a raccolta.
A questo punto il mio cliente mi comunica che interrompiamo per un po’ il nostro incontro perché deve andare a pregare, si scusa, si slaccia le scarpe e si dirige verso i servizi igienici ove farà le sue abluzioni purificatrici e dopo di che si dirigerà verso la stanza delle preghiere ritornando da noi dopo un 15 – 20 minuti. Nel frattempo ne approfitto per chiamare in Idrobase e per bermi un te indonesiano.

Apprendo da un quotidiano locale che il governo indonesiano ha in progetto di realizzare un piano per produrre da coltivazioni vegetali carburate per alimentare le auto al posto della benzina, il così detto bio-fuel. Missione a prima vista nobile perché acconsentirebbe a questo stato, così come già sta facendo il Brasile, di uscire dalla schiavitù del petrolio e di realizzare il sogno di molti di sostituirlo con energia ricavata dalle così dette fonti rinnovabili.

Questo progetto destinerebbe a queste coltivazioni una estensione di terreno di ben 5 milioni di ettari che il governo assicura non verrà strappata alla foresta pluviale, uno dei pochi polmoni verdi della terra, ma ad una non ben definita estensione non produttiva. Il ministro dell’ambiente indonesiano si oppone a questo piano perché per la sola preparazione del terreno è prevista una emissione di CO2. pari all’8% di tutta quella prodotta in un anno al mondo e che la solo concimazione del suolo produrrebbe danni incommensurabili all’ambiente e che conviene non procedere con la realizzazione del progetto.

Certo è che le forze in campo sono notevoli, altrettanto vero è il fatto che brucia questo o brucia quella sempre di problema si tratta.

Il dibattito è aperto

di Bruno Ferrarese



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